Una bella serata d’Irpinia

“Mia moglie prima tifava Inter. Quando ci fidanzammo, per prima cosa le feci imparare a memoria la formazione dell’Avellino, che ancora oggi ricorda perfettamente”.
Dura più di un’ora la chiacchierata con Claudio, storico tifoso di Vallesaccarda, tra i promotori del Club Baronia Biancoverde.

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Siamo nel ristorante di famiglia, il leggendario Minicuccio, tempio della cucina irpina. Prima che io mi sieda a tavola per una cena a dir poco commovente, è un serrato botta e risposta che si dipana tra attualità e ricordi. L’Avellino di Giammarinaro e di ‘Miniussi, Codraro e Piaser’ non lo ricordo per motivi d’anagrafe; Claudio c’era e sciorina i numeri di quella stagione da record: 18 vittorie in casa e 10 in trasferta per i Lupi, sconfitti solo 4 volte. ‘Dalla piana di Montoro alle balze di Vallesaccarda, tutta l’Irpinia è in festa’, titolò Peppino Pisano sul Corriere dello Sport dopo la vittoria sul Lecce che proiettò l’Avellino in B per la prima volta nella sua storia.
Dai dribbling di Frufrù Palazzese si passa al calciomercato. Condividiamo il rimpianto per Angiulli e Ciano; anche Herrera sta facendo un buon campionato. Insieme ricostruiamo la mappa del tifo in questo spicchio di provincia, da Carife a Trevico e fino a Zungoli. E poi i derby vinti contro il Napoli, Zeman e le rispettive e spesso comuni trasferte, da quelle della serie A e quelle della D. Sempre al posto nostro, a seguire una squadra che è più di una squadra: un modo d’essere.
Che sia così io lo so, Claudio lo sa; me lo conferma Elena, mentre percorriamo la strada del ritorno, con la luna piena o quasi che illumina i campi innevati, la pancia piena e il cuore caldo, al termine di una bella serata d’Irpinia.

Diecimila di questi click

Mentre inizio a scrivere mancano due soli click al traguardo delle diecimila visualizzazioni di pagine di questo blog.
Tutto è iniziato il 20 maggio dello scorso anno, sull’onda dell’entusiasmo per la promozione in Serie B, quando ho scelto la piattaforma, il layout e il titolo. Quasi contemporaneamente ho postato tre articoli: il primo della serie, per la categoria Alfabeto biancoverde, si intitola A come Aesse. In totale, da allora, i miei polpastrelli hanno sfornato centocinque post, compreso il presente.
Le statistiche di WordPress mi dicono che, dopo la home page, il post più visto (ben 980 volte) è La scossa delle 19 e 35 e la ricerca che non ho finito: come ogni irpino comprende, parlo del sisma del 1980 e l’ho postato il 23 novembre. Il pezzo di argomento calcistico che ha raccolto più click (314) è Brescia – Avellino, le anafore del giorno dopo, scritto una domenica mattina appena sveglio, dopo la prima vittoria esterna dei Lupi in questo campionato.
Eccettuata l’Italia, il Paese da cui proviene il maggior numero di visite sono gli Stati Uniti (247), poi Svizzera (107), Germania (73), Regno Unito (46). Alcune visite giungono da altri continenti: Brasile (34), anzitutto, poi Canada, Argentina, Giappone, Libano, Australia, Etiopia, Thailandia, Ecuador. I tifosi dell’Avellino, del resto, sono ovunque, e qualche articolo per le categorie Lost & Found, Altre storie biancoverdi e Il calcio degli altri fa il resto: le visite, infatti, provengono per un terzo da Facebook, poi dal Forum Pianeta Biancoverde, quindi da motori di ricerca; in quarta posizione Twitter, dove cinguetto da qualche mese come @rinoeillupo.
Oltre alla quantità, la qualità: in questi mesi i complimenti e gli incoraggiamenti di amici, conoscenti e sconosciuti, durante un’occasione conviviale come sugli spalti di uno stadio, non sono mancati; e ogni volta è una sorpresa sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivi, e magari anche come lo scrivi. Perché, a dirla tutta, io sono sì un (grande) tifoso dell’Avellino, ma pure uno cui piace scrivere: me ne sono accorto bloggando, anche se in fondo l’ho sempre saputo.
Ora che il post è terminato, il traguardo è stato nel frattempo raggiunto e superato: diecimila e più volte grazie ai lettori di questo blog; per Pellegrino e per il lupo, altri diecimila e più di questi click!

Canarini, trivelle e mugliatielli (Avellino 2 – Modena 1)

È domenica mattina, e tuttavia la sveglia suona di buon’ora.
Ci sono ancora la valgia da preparare, i regali di Natale da impacchettare, la sciarpa nuova fiammante da mettere in borsa. Finché non entriamo in macchina metto a dura prova la pazienza di Elena. Partiamo poco prima delle 9, via di corsa verso Avellino: ci attende la partita col Modena.
Nonostante la solita coda sul Raccordo, spacchiamo il minuto e a un quarto a mezzogiorno siamo a casa, a recuperare papà, l’abbonamento e una bella sporta di calzoni ripieni e mandarini: bisogna pur sopravvivere.  In Terminio entriamo mentre lo speaker sta annunciando le formazioni. La nostra, stavolta, è la migliore possibile, con Togni in panca.
La partita è emozionante, dentro e fuori dal terreno di gioco. Sugli spalti, i Maestri della Sciarpata si esibiscono nella specialità della casa
L’Avellino parte bene: il diagonale di Castaldo, servito da Zappacosta, esce di un niente. Poi i Canarini prendono il sopravvento, nel gioco e nelle occasioni. Il palo dice no a una conclusione da fuori di Bianchi, e sulla ribattuta seculin è prodigioso nel respingere di piede.
Le manovre dei Lupi si dipanano sulla destra, mentre al centro facciamo fatica ad impostare. Poco prima del 45esimo, però, peschiamo il jolly. Capitan D’Angelo, sul filo del fuorigioco, intercetta una conclusione di Zappacosta, si gira e fulmina Pinsoglio.
Andiamo all’intervallo in vantaggio, e il fiero pasto portato da casa va giù che è una meraviglia.
Altrettanto corroborante l’avvio di ripresa. Prima Galabinov si vede intercettare dal portiere modenese una conclusione a colpo sicuro, poi Castaldo si divora il raddoppio a tu per tu con Pinsoglio, che non si fa superare dal pallonetto di Gigione.
Quando finalmente l’arbitro sanziona un fallo su Galagoal al limite dell’area, sul pallone ci va il Bulgaro, che la mette dentro con una parabola da brasiliano.
Sembra finita, ma non lo è. Il Modena coglie un altro legno, poi accorcia con Babacar che approfitta di un’improvvisa amnesia di Peccarisi. La sofferenza, del resto, è di prammatica, e vale a rendere ancora più belle partita e vittoria.
Benissimo Seculin, Zappacosta è il solito stantuffo, del trio di centrocampo Sc-Ar-D’A il migliore è il leone asceota. Sfortunato Castaldo, Galabinov sornione.

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Dopo il fischio finale, lo scambio degli auguri, poi a casa per un caffè e un giro veloce sui Social Network: i primi tweet con gli hashtag #Avellino e #Forzalupi sono in finlandese, e per fortuna c’è Google Translator.
Non c’è tempo di bloggare: bisogna andare a Gesualdo per il corteo contro le trivellazioni petrolifere in Alta Irpinia. Tra i partecipanti qualcuno innalza uno steccato da stadio, altri sfilano con la sciarpa biancoverde al collo.
In ballo c’è il futuro della nostra provincia: sarebbe bello se alla prossima occasione vi fosse il bandierone che quest’anno sventola in Curva Sud e che reca la sagoma dell’Irpinia.
La sortita gesualdese termina a tavola: diciamo no al petrolio, sì ai mugliatielli al sugo, autentica e rara prelibatezza della nostra cucina.

La scossa delle 19 e 35 e la ricerca che non ho finito

Per quanto mi sia sempre piaciuto studiare, la programmazione non è mai stata il mio forte.

E così, quella domenica, alle sette e mezza di sera ero ancora con la testa sui libri, studente di quarta elementare, impegnato in una ricerca sul coccodrillo del Nilo, mentre il canale nazionale trasmetteva il secondo tempo di una partita di campionato e mia madre spiattellava di là in cucina. Dopo avere ritagliato e incollato sul quaderno un disegno che riproduceva le fattezze del possente rettile, per acquisire il quale avevo sacrificato un vecchio libro dei miei genitori, mi ero immerso nella lettura dell’Enciclopedia del Fanciullo, che avrei successivamente ricopiato per completare le ricerca.

Almeno: quelle erano le mie intenzioni. Se solo la ricerca non fosse stata interrotta da un avvenimento che, ancora oggi, dopo trent’anni, è sinonimo di paura (e di dolore) per me e per tutti gli irpini: la scossa delle 19 e 35 del 23 novembre 1980.

Il boato enorme, il rumore fragoroso di ferraglia che emana dai pavimenti e dai muri, il servizio buono che cade dalla credenza, il lampadario che schizza da una parte all’altra, mia madre che si precipita ad impedire che il televisore a colori, appena acquistato, si fracassi al suolo, gli sguardi di terrore in un tempo interminabile, lo stipite della porta tra ingresso e corridoio al quale, non so perché, mi aggrappo. Nessuno chiede cosa sia, ché il terremoto si presenta da sé.

Non c’è tempo di finirla, la ricerca. Ci vestiamo in fretta e ci precipitiamo lungo le scale, io e mio fratello saltando i gradini a quattro a quattro. Il palazzo pare integro, salvo alcune mattonelle staccatesi dalla facciata. Mio padre rientra a prendere le chiavi della macchina, i soldi e le coperte. Quando ritorna ci informa che il telefono non funziona.

Ci infiliamo nella Dyane verde, percorriamo Valle e poi Mercogliano, dove facciamo una prima sosta. La scuola è apparentemente al suo posto, ma le suore sono per strada. Cerco di dire a Suor Tarcisia, la mia maestra, che purtroppo non ho potuto finire la ricerca. Giungono vaghe notizie di crolli nel centro storico, a Capocastello. Funziona solo il passaparola, impossibile mettersi in contatto con parenti e amici. Ecco che allora ci dirigiamo al paese. I nonni stanno bene, zii e cugini pure. Ci si accampa nel piazzale del ristorante Cappuccino, nel quale si radunano almeno 6 o 7 famiglie. E’ la sera di domenica, c’è stato un banchetto nuziale, e dunque c’è cibo e ci sono riserve cui attingere. Si accendono i fuochi, si predispongono giacigli di fortuna. Una volta tolti i sedili, la Dyane si rivela capace di ospitare due adulti e due bambini.

Quei bambini che non capiscono esattamente cosa stia succedendo, anche perché neppure i grandi lo sanno, finché nella notte non arriva qualcuno a bordo di una Fiat Campagnola, che racconta di crolli e di morti in città, mentre località remote come Sant’Angelo, Lioni, Conza, cominciano ad entrare nelle cronache dal cratere.

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A San Mango è caduto l’intero paese. La casa del Professore De Blasi si è sbriciolata, seppellendo l’anziana madre sotto un cumulo di macerie. La stessa casa cui eravamo diretti quel pomeriggio di domenica, se il caldo insolito per quella stagione, il cielo rossastro e i capricci di Rino e Andrea non avessero convinto i Professori Marinelli a cambiare in corsa i programmi e fare rotta su Salerno, per mangiare un gelato, giocare alle giostre e ascoltare alla radio la cronaca della partita, con l’Avellino che quella domenica surclassa l’Ascoli per quattro reti a due e un Juary in gran forma.

23nov

Mesi dopo dalle macerie della collina della Terra riemerge uno striscione verde. Mio zio lo raccoglie e lo mette da parte. Verrà utile nove anni dopo, quando, all’indomani della retrocessione dalla massima serie, con un gruppo di amici ne dipingiamo il retro con la scritta “Risorgeremo!”.